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La pesca a strascico nuoce alla biodiversità marina. Lo rileva un rapporto pubblicato su Nature.
Il Mare e gli Oceani sono spesso considerati “terra di nessuno” se pensiamo che nel mondo solo il 2,7 per cento dei Mari è protetto e la pesca a strascico, una delle attività più redditizie al mondo, contribuirebbe all’inquinamento e alla perdita di biodiversità marina, provocando emissioni di CO2 per un miliardo di tonnellate l’anno, tanto quanto il traffico aereo mondiale.
Lo conferma un recente studio, realizzato da un team di 26 biologi marini, pubblicato sulla rivista scientifica Nature. Lo studio rappresenta come Mari e Oceani assorbono un terzo dei gas serra emessi in atmosfera; il carbonio si deposita nei sedimenti, il più grande bacino di stoccaggio al mondo.
Attraverso l’attività di pesca a strascico, le reti arano i fondali, liberando il carbonio che fino a quel momento era prigioniero dei fondali. Una parte di questo carbonio resta in acqua e una parte rende acido l’ambiente marino. L’Italia, dopo Cina e Russia, risulta essere il terzo Paese al mondo a contribuire a tali emissioni. Le reti, così dette a strascico, sono trascinate da barche e hanno la forma di un grande cono. Sono composte da lime di piombi e catene per smuovere il sedimento, distruggendo alghe e corali con l’obiettivo di pescare pesci di piccola taglia, ostacolando allo stesso tempo il ripopolamento ittico.
Secondo lo studio pubblicato da Nature, per eliminare il 90% dei rischi connessi all’emissione dell’anidride carbonica provocata dalla pesca a strascico sarebbe necessario proteggere almeno 4% degli Oceani all’interno delle acque nazionali.